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IL TUMULTO NELL’OCEANO

IL TUMULTO NELL’OCEANO

Durante una calda domenica d’estate del 1908 si levarono urla agghiaccianti da “Revere Beach”, una spiaggia nei pressi di Boston, USA. Il lieto trascorrere del pomeriggio festivo fu bruscamente interrotto dallo scompiglio generale. «Shame on you!» (Vergogna!) strepitava la gente.
Dita puntate in segno di accusa accompagnavano i volti, quasi a voler allungare l’espressione di sdegno che ne deformava i lineamenti. I bambini intenti a giocare sulla spiaggia vennero chiamati a raccolta dai genitori, furono subito radunati attorno a loro per impedire la vista di quello spettacolo aberrante.
Eppure nessun mostro marino si profilava all’orizzonte, l’oggetto di tanto scandalo era una giovane donna distesa lungo la riva ad ammirare le onde. Attorno a lei sfilavano molte altre donne, coperte da capo a piedi dai loro abiti da bagno completi di pantaloni, ornati da colletti alla marinara e ricami floreali, tutte compunte nelle loro divise malgrado il caldo torrido. La ragazza, invece, sfidava il sole mostrando braccia e gambe nude: un costume a pezzo unico di stoffa nera la proteggeva dagli sguardi indiscreti. Oltre ad attirare l’attenzione di tutti i presenti quel costume apparve come una provocazione inaudita. Presto furono un paio di manette a porre fine alla storia. Arresto per indecenza, spiegarono i poliziotti.
La giovane Annette Kellerman, ventun anni compiuti da poco, levò sugli uomini due occhi pieni di confusione: «Io voglio nuotare» si giustificò «e non posso farlo indossando più vestiti di quanti siano necessari per una sfilata di moda. Sarebbe come nuotare in catene!»
CONSEGNATA AL MARE
Da bambina Annette aveva avuto dei gravi problemi di salute. A sei anni stava in piedi solo sostenuta da pesanti imbracature d’acciaio strette attorno alle gambe troppo gracili, non conosceva altro modo per muoversi fuorché sopportare tutto quel peso. Ma suo padre Frederick William Kellerman, violinista, non si diede per vinto e continuò a consultare medici finché gli venne concesso un brandello di speranza a cui aggrapparsi: lezioni di nuoto.
Papà Kellerman propose il nuoto alla figlia come una medicina e lei, con lo stesso sdegno che si riserva alle cure sgradevoli, la rifiutò. Annette amava l’oceano, certo, eppure era terrorizzata al pensiero di nuotare. Oltretutto temeva di dover esporre alla vista le sue gambe malate sempre protette dall’imbracatura. Si oppose, pianse, pregò, supplicò, ma ogni capriccio fu inutile. L’acqua, come il destino, le venne incontro.
La iscrissero ai corsi di nuoto ben presto le imbracature divennero pezzi inservibili. Compiuti i tredici anni la determinazione le permise di spezzare quell’acciaio che imprigionava i suoi piedi palmati. Da quel momento nessuna costrizione avrebbe intrappolato Annette, ormai libera e fiera, decisa più che mai a spezzare le catene del mondo.
RITROVATA LIBERTÀ
Nuotare significava non avere limiti. A quindici anni Annette si dedicò all’attività di nuotatrice con l’interesse quasi febbrile dell’adolescenza. Dichiarò al padre la sua intenzione di gareggiare in competizioni di alto livello e lui, in ricordo delle sue ritrosie di bambina, scoppiò in una risata fragorosa. La stessa che replicò con una nota di stupore quando la sua sirenetta vinse la gara delle cento yard donne in 1′ 2″ battendo la nota campionessa Vera Buttel. Con il moltiplicarsi dei successi lo stupore divertito di Frederick Kellerman si trasformò in una fede inossidabile nelle potenzialità della figlia. Così, mentre il resto della famiglia osservava dubbiosa la notorietà crescente della più giovane, quel violinista di mezza età seguiva con passione gare di nuoto e competizioni agonistiche. Annette non aveva alcuna intenzione di dedicarsi alla musica, malgrado il suo cammino in quel campo apparisse segnato essendo entrambi i genitori insegnanti al conservatorio. Lei voleva emergere attraverso un’attività che la rappresentasse e trovò nel nuoto, suo soccorso inaspettato, l’alternativa ad una carriera da musicista mediocre.
Fu restituita al mare all’età di ottantanove anni, al termine di una vita appagante trascorsa a vincere gare, sempre sulla cresta dell’onda. Non cessò mai di nuotare e continuò a narrare il suo amore per l’oceano perfino in una raccolta di favole per bambini, pubblicate col titolo “Fairy Tales of the South Seas”.
Le sue ceneri vennero sparse sulla barriera corallina che ancora le sussurra nuove sfide, il sordo richiamo di un innato piacere che l’aveva spinta verso il mare per conoscere il vero significato della vita. A ricordare il mistero di un’umanità che nuotava ancora prima di esistere e continuerà a farlo fino a quando non ci saranno più oceani in cui specchiarsi.
#storiechefannobeneallasalute

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